lunedì 3 dicembre 2012

Recensione: Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassa - Moonsorrow

Provare a parlare dei Moonsorrow è difficile.
Chi li conosce sa che sono un gruppo complesso, difficile, dalle mille sfaccettature e molto complessi da inquadrare in un genere specifico.
E sono uno dei miei due gruppi preferiti.

Tanto più che ho deciso di parlare dell'album forse più diverso della loro discografia, ossia l'ultimo,  Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassaa (2011), album composto da sole 4 tracce, ma intermezzato da una serie di intermezzi a narrare una storia.

Ma partiamo dall'inizio.
Chi sono i Moonsorrow?
I Moonsorrow sono un gruppo finlandese, che ha come membri principale i due cugini, Henri Sorvali (Chitarra, tastiere e voci) e Ville Sorvali (Basso e voce), oltre che a Mitja Harvilahti alla chitarra e Marko Tarvonen alla batteria.

Nascono nel 1995, e pubblicano il loro primo album, Suden Uni (Il sogno del lupo), nel 2001. Subito salgono alla ribalta per  il loro stile, unico nel genere del folk metal, con canzoni lunghe, epiche e piene di strumenti ed atmosfera. Segue poi, nello stesso anno, Voimasta Ja Kunniasta (Di Forza e Onore) e nel 2003 quello che è forse il loro più bell'album, ossia Kivenkantaja (Il portatore di pietre).

I Moonsorrow cantano esclusivamente in finlandese, ma tutti i loro album hanno all'interno del booklet le traduzioni in inglese dei loro testi, che permettono così agli ascoltatori di seguire la narrazione dei cugini Sorvali, che spesso cantano delle origini della loro nazione e della morte della cultura finlandese in seguito alle crociate, che hanno abbattuto gli dei pagani per innalzare la croce.

Dopo Kivenkantaja, i Moonsorrow si confermano nel 2005 con Verisäkeet (Versi di Sangue), che conferma la splendida ispirazione della band finlandese, e che apporta alla loro discografia la spettacolare Jotunheim, la mia canzone preferita della loro discografia.

Viene poi il maestoso Viides Luku - Hävitetty (2007. Capitolo Quinto: Devastato), un album composto da due sole canzoni di mezz'ora l'una. Difficile all'inizio, una volta che si è entrati nell'atmosfera dell'album diventerà un capolavoro.

Per arrivare, finalmente, al 2011.


Varjoina Kuljemme Kuolleiden Maassaa signfica "Come Ombre Camminiamo nella Terra dei Morti".
L'album è cupo, tetro e decadente, cosa insolita per i Moonsorrow, che hanno abituati i fan a pezzi epici, battaglieri ed esaltanti, con stacchi folk allegri e sfuriate quasi black alternati a pezzi lenti e commuoventi.
Il disco narra una storia simile al film The Road, ovvero fa seguire all'ascoltatore il viaggio di un gruppo di esseri umani in seguito ad una non meglio specificata catastrofe, che ha quasi spazzato via la razza umana dalla terra.
Questo gruppo di superstiti viene sentito arrancare ed ansimare, mentre avanza faticosamente nella Terra dei Morti (Da qui il titolo dell'album), dirigendosi verso una speranza di salvezza.
Avviso già che contravverò ad una regola che mi ero autoimposto, ovvero il non fare una track-by-track, perché per parlare di un album così complesso è quasi impossibile non farlo.
L'album si apre con Tähdetön (Senza Stelle), brano di 12 minuti, che inizia con un lento e pesante riff di chitarra accompagnato dalla batteria, ad aprire l'atmosfera che accompagnerà per tutto il CD.
Per poi, dopo quasi un minuto, dare il via alla canzone.
Il cantato rauco e sofferente di Ville Sorvali ci porta subito nella situazione di disperazione che accompagna i superstiti: la canzone è sofferente, con chitarre e tastiere a generare un'atmosfera di tetra oppressione attorno all'ascoltatore, che si ritrova a strisciare nel fango, accompagnato da cori maestosi e decadenti, con una campana che suona dei rintocchi in lontananza, e mentre la voce si fa sempre più disperata, improvvisamente ecco uno stacco folk in vero stile Moonsorrow, ma è solo un'illusione.
La disperazione di questo pezzo sembra, anzi, accentuata dal ritmo quasi allegro, con il suono degli strumenti che non permette di staccarsi dalla sensazione di disperazione che il gruppo finlandese vuole trasmettere.
La canzone si ferma all'improvviso, e nello stacco successivo sentiamo i passi del gruppo di superstiti, che vagano sotto il cielo notturno privo di stelle, in silenzio. Solo qualche colpo di tosse spezza il suono del nulla, a dare l'idea della quasi mancanza di speranza dell'essere umano.

Ma ecco che subito dopo le chitarre irrompono, ed è il momento di Muinaiset (Gli antichi).
La canzone è subito aggressiva. Nessuno stacco folk o allegro, solo la voce ringhiante di Ville Sorvali, con le tastiere a riempire l'atmosfera e le chitarre più di accompagnamento, fino allo stacco centrale. La velocità dei riff da una sensazione di ansia, di ritardo, incalzanti nel loro maestoso incedere, mentre un coro epico, degno di Kivenkantaja segue la melodia, e Ville canta la difficile sopravvivenza del gruppo di esseri umani nelle terre desolate.
Un avanzare incalzante di chitarre e tastiera ci porta nella seconda metà di canzone, che serve quasi solo ad introdurre la sfuriata finale.
Perché è negli ultimi minuti che questo pezzo finalmente esplode, travolgendo l'ascoltatore. Ville ormai è incontenibile, e la sua voce è cattiva come raramente lo si è sentito.

"Kohdatkaa muinaiset!Kohdatkaa uusi maailma!"
"Meet the Ancient Ones! Meet the New World"

L'essere umano non è il padrone di questo mondo. E la catastrofe che lo ha spazzato via è solamente un'altra delle fasi che il pianeta ha attraversato, e tra diecimla anni nessuno più si ricorderà di quella razza che un tempo ha abitato la Terra.

Segue un altro intermezzo, simile a quello tra i primi due pezzi, sui superstiti. Ma anche questo è solamente l'intro alla prossima, grandiosa canzone.
Huuto (L'urlo) si apre con un giro di tastiere quasi dolce, momentaneo sollievo, ma anche qui si tratta di una illusione.
Perché la violenza della canzone sfocia immediatamente, devastando ogni speranza di salvezza, e sbattendo nuovamente a terra l'ascoltatore.
Le chitarre si fanno nuovamente feroci, mentre la tastiera continua in sottofondo a suonare la sua atmosfera decandente.
La canzone ha innumerevoli cambi di ritmo: dopo la sfuriata c'è una specie di momento di "calma" relativa, che viene però spazzata via dalla tastiera, che torna a suonare la melodia iniziale, questa volta però più velocemente, accompagnata dal canto di Ville.

"Dove possiamo trovare la strada? La vita non affronta la morte, solo sofferenza e dolore"


I superstiti si perdono d'animo, crollando uno dopo l'altro durante la loro marcia verso la salvezza, mentre la tempesta imperversa su di loro, nei loro cuori la speranza si fa sempre più debole, di fronte alla violenza del mondo che li circonda. Una riflessione sull'essere umano, ma il corpo è stanco, e la mente non fa in tempo a finire il pensiero.
E intanto le tastiere continuano a suonare, le chitarre a straziare l'anima dell'essere umano, senza dimenticare una batteria incalzante ed aggressiva, senza mai essere brutale.
Ma proprio quando la tempesta raggiunge il suo picco, si placa. Gli strumenti tacciono, e solo la tastiera torna a ripetere il suo urlo, questa volta dolcemente, per terminare la canzone, e a fare da prologo all'epilogo di questa storia

L'ultimo intermezzo, Kuolleille (Ai morti), fa da premessa alla canzone finale: si sentono i passi, questa volta di una sola persona. L'unico sopravvissuto alla marcia, che cammina. E arriva alla sua meta, dove sperava di poter trovare altri esseri umani.
Ma il rumore del mare è l'unica cosa che trova.
Lo si sente cadere in ginocchio, e dopo qualche istante lanciare un urlo disperato e liberatorio al cielo. Non c'è nessuna speranza.
Non c'è nessuna salvezza.

Inizia così Kuolleiden Maa (La Terra dei Morti), un pezzo che trasuda disperazione da ogni nota. La chitarra parte subito, riempiendo l'aere di un riff lento e pesante, disperato, che si interrompe solo con una finto momento di pausa, per poi riprendere ancora più feroce ed aggressivo.
Entra finalmente Ville, con la voce disperata, leggermente distorta, che urla il dolore di quell'ultimo uomo, di quell'ultimo superstite, ora che ogni speranza è svanita.
E rimane solo la morte.
Si lascia cadere sulla terra nuda, ascolta il suono del mondo, del mare e del fiume. Sente il tepore della nebbia, non più del sole. Il sangue scorre sul suo corpo, tra le sue mani.
Non c'è nessuna salvezza.
Il testo riprende il titolo dell'album, con una differenza. Non dice "Come ombre camminiamo nelle terre dei morti", ma "Come un ombra cammino nella terra dei morti".
Una piccola differenza.
E intanto le tastiere riprendono, con un giro di una violenza e di una pienezza di suono inaudita (Vi giuro che dal vivo questa canzone è devastante), che annichilisce l'ascoltatore.
Non dà un attimo di pausa, nessun momento di pace. 
L'uomo si perde nelle sue riflessioni. Quando è iniziata la fine? Perché Dio ci ha puniti? Ma i cadaveri intorno a lui non possono dargli risposta.
E come un ombra, nella terra dei morti, sparisce, all'alba della nuova era, di questo nuovo mondo. 
Ed un coro, di un'epicità maestosa si innalza, seguito dall'urlo disperato di Ville.

"Kuolleiden Maa"

E le chitarre irrompono, violente, a spezzare la melodia, che viene pur tenuta da una spettacolare tastiera e dalla batteria, per portare all'ascolto gli ultimi pensieri dell'uomo, sconfitto da qualcosa più grande di lui. Qualcosa che credeva di poter domare e dominare, ma da cui invece è stato sconfitto.
E alla fine, tutti gli strumenti si fermano. 
Solo la batteria. A ripetere lo stesso giro che ha fatto da intro a Tähdetön, che va via via a finire l'album, in una lenta dissolvenza in lontananza.

Mi rendo conto di aver scritto un papirone, e di essere stato probabilmente ripetitivo in più punti, ma amo veramente alla follia i Moonsorrow in generale, e questo album in particolare (E non è nemmeno il mio preferito! Se avessi parlato di Kivenkantaja ne scrivevo un libro!)
Ve lo consiglio.
Per i canoni dei Moonsorrow è un album strano, molto diverso, ed infatti molta gente non lo ha apprezzato. Non è semplicissimo, soprattutto per chi non è abituato a certi generi di canzone, ma vi assicuro che una volta entrati nel mindset lo troverete un capolavoro.

E vi assicuro anche che i Moonsorrow dal vivo sono uno spettacolo. Ho avuto la fortuna di vederli due volte, prima a Novara e poi a Bergamo, e hanno veramente fatto un concerto spettacolare.

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